Democrazia a bassa intensità? Quando il linguaggio istituzionale modella la partecipazione

06.05.2025

La democrazia non è solo un sistema di regole, ma un insieme di valori che si esprimono attraverso la cultura politica e il linguaggio. Il modo in cui le istituzioni comunicano ai cittadini può alimentare la partecipazione oppure, al contrario, generare disinteresse e disaffezione. Negli ultimi tempi, in Italia, stiamo assistendo a una sottile ma significativa trasformazione della comunicazione istituzionale, che sembra allontanarsi da un linguaggio di coinvolgimento democratico per adottare strategie comunicative che scoraggiano, senza mai vietare esplicitamente, la partecipazione attiva.

Un caso emblematico è quello del referendum sul lavoro: mentre storicamente il Presidente della Repubblica ha sempre sottolineato l'importanza dell'esercizio del voto come dovere civico e strumento fondamentale della democrazia, parte della comunicazione istituzionale sembra muoversi in direzione opposta. Non un incoraggiamento, non un richiamo al valore della scelta, ma un invito implicito all'astensione, veicolato attraverso un linguaggio neutro e tecnicistico che svilisce la portata della decisione.

Il non-voto diventa così non solo un'opzione, ma un esito suggerito, favorito da una narrazione che lo presenta quasi come un comportamento razionale o addirittura responsabile.

La strategia non si limita alla dimensione referendaria. Anche il dibattito sulla sobrietà nei festeggiamenti della Festa della Repubblica e la crescente resistenza verso simboli della memoria storica, come gli inni partigiani, contribuiscono a costruire un clima di progressiva deresponsabilizzazione collettiva. La celebrazione della Repubblica è sempre stata accompagnata da parole dirette, da inviti espliciti alla partecipazione e alla riflessione sul valore della libertà. Eppure, oggi, questi richiami sembrano più timidi, quasi schermati da una comunicazione istituzionale che preferisce la moderazione alla passione democratica.

A contrastare questa tendenza rimangono i tradizionali appelli dei Presidenti della Repubblica, figure che per ruolo e statuto incarnano i valori della democrazia e ne ricordano l'essenza partecipativa. Ma il loro linguaggio, diretto e sincero, sembra sempre più marginalizzato, incapace di competere con la narrazione dominante, più sfumata e più sottile, che lentamente ma costantemente sposta l'asse del dibattito verso una cittadinanza passiva.

Non è una mutazione improvvisa, non è un'imposizione esplicita. È un'erosione graduale della coscienza democratica, ottenuta non con decreti o divieti, ma con strumenti più sofisticati: la scelta delle parole, la selezione delle priorità comunicative, la riduzione dell'enfasi sulla partecipazione come principio cardine della Repubblica.

La democrazia, però, vive di consapevolezza. E se il linguaggio istituzionale cambia, sta ai cittadini riconoscere la trasformazione e riaffermare il valore della partecipazione, non come opzione, ma come necessità per una società veramente libera e pluralista.

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