Il regno dei Clickbait: gli Dei del click e la cultura del nulla

Due vicende hanno attirato l'attenzione di un vecchio boomer come me e mi hanno fatto riflettere su un tema che mi tormenta da tempo... non solo, anche mio figlio, di soli 17 anni e che ha sviluppato una maturità e un senso critico ammirevoli, mi ha spiegato che tutto quello che sta succedendo nel mondo dei social è dovuto ai guadagni derivanti dagli algoritmi che promuovono semplicemente il numero di click, senza fare nessuna analisi dei contenuti; mi ha anche spiegato che, se si inibisse questa forma di guadagno, inevitabilmente questi personaggi sparirebbero.
Dicevo... le due vicende sono:
- il primo caso è la strategia mediatica di Chiara Ferragni per spostare, con grande successo, l'attenzione dalla vergognosa vicenda della truffa da lei perpetrata sulla beneficenza, a una vicenda privata di gossip in cui è dipinta come vittima. Una strategia, a mio parere, tanto meschina quanto geniale, perché si è rivelata purtroppo di grande successo.
- L'altra è la vicenda di Roccaraso, dove un'influencer, di cui non ricordo il nome, ha sancito il suo successo e la sua fortuna sulla volgarità, sullo stile kitsch e sull'esaltazione dell'ignoranza becera che suscita ilarità. L'impatto della sua iniziativa ha creato un problema di sostenibilità, economia e reputazione a un'intera comunità e a chi vi ha aderito. Dopo il clamore mediatico, questa persona non solo non si è pentita, ma ha usato il pessimo clamore creato per avere ancora più visibilità e quindi più click.
Negli ultimi anni, il fenomeno degli influencer ha rivoluzionato il panorama digitale e mediatico, trasformando persone comuni in vere e proprie celebrità del web.
Tuttavia, questa rivoluzione non è stata priva di conseguenze. I guadagni basati sui click hanno creato un ecosistema in cui la qualità della comunicazione è spesso sacrificata a favore di contenuti sensazionalistici.
Questo articolo esplora le implicazioni di questo fenomeno, analizzando come esso stia inquinando la comunicazione, spostando l'attenzione dai problemi reali, favorendo il cyberbullismo, uccidendo la cultura del pensiero critico e creando miti sul nulla.
Il modello economico basato sui guadagni per click ha incentivato la produzione di contenuti che mirano esclusivamente a catturare l'attenzione del pubblico. Titoli fuorvianti, notizie false e contenuti superficiali non verificati diventano la norma, mentre l'informazione di qualità viene relegata in secondo piano. Questo inquinamento della comunicazione ha effetti deleteri sulla società, poiché distorce la realtà e crea una cultura dell'informazione basata sull'immediatezza e sulla superficialità.
Il predominio dei contenuti clickbait ha contribuito a spostare l'attenzione dai problemi reali che affliggono la società. Le questioni di importanza cruciale, come il cambiamento climatico, le disuguaglianze sociali e le crisi umanitarie, vengono spesso oscurate da notizie sensazionalistiche e frivole. Questo spostamento dell'attenzione riduce la capacità del pubblico di comprendere e affrontare le vere sfide del nostro tempo.
Il successo degli influencer e dei contenuti clickbait ha avuto un impatto significativo anche sull'economia. Le aziende, infatti, investono sempre più risorse in campagne di marketing che sfruttano la popolarità degli influencer, a scapito di investimenti in innovazione e sviluppo sostenibile.
Questo modello economico crea un ciclo vizioso in cui il valore economico è determinato dal numero di visualizzazioni e click, anziché dalla qualità o dall'impatto sociale dei prodotti e dei servizi offerti.
L'ecosistema dei social media, incentivato dai guadagni per click, ha favorito la diffusione del cyberbullismo e della cultura del conflitto. Gli algoritmi delle piattaforme premiano i contenuti divisivi e polemici, creando un ambiente ostile in cui le opinioni moderate e i dibattiti costruttivi vengono soffocati. Questo clima di conflitto perpetuo alimenta tensioni sociali e mina il tessuto della convivenza civile.
L'ascesa degli influencer e dei contenuti clickbait ha contribuito a uccidere la cultura del pensiero critico. La fruizione passiva di contenuti superficiali e sensazionalistici riduce la capacità degli individui di analizzare criticamente le informazioni e di formarsi opinioni informate. Questo impoverimento cognitivo ha conseguenze profonde sulla società, poiché un pubblico disinformato è più facilmente manipolabile e meno propenso a partecipare attivamente alla vita democratica.
Il fenomeno degli influencer ha anche contribuito a creare miti sul nulla, erigendo persone senza particolari meriti o competenze a idoli delle masse.
Questo culto dell'apparenza e della superficialità promuove valori effimeri e distorti, influenzando negativamente le aspirazioni e i comportamenti delle giovani generazioni. La società si trova così a celebrare l'insignificante e a ignorare chi lavora per il bene comune.
Un ulteriore problema è la disabitudine ad approfondire e confrontare le fonti. Le informazioni veloci non creano una memoria collettiva su cui si forma il vero benessere sociale e culturale. La mancanza di approfondimento porta a una comprensione superficiale della realtà e a una società meno informata e meno capace di prendere decisioni consapevoli.
In conclusione, il condizionamento degli influencer e il modello economico basato sui guadagni per click hanno avuto un impatto profondo e spesso negativo sulla comunicazione, sull'economia e sulla società nel suo complesso.
È essenziale prendere coscienza di questi effetti e promuovere una cultura dell'informazione basata sulla qualità, sull'analisi critica e sul rispetto delle verità fondamentali. Solo così potremo contrastare l'inquinamento della comunicazione e costruire una società più informata, equa e consapevole.
Fonti
- Benkler, Y. (2006). *The Wealth of Networks: How Social Production Transforms Markets and Freedom*. Yale University Press.
- Marwick, A. (2013). *Status Update: Celebrity, Publicity, and Branding in the Social Media Age*. Yale University Press.
- Sunstein, C. R. (2017). *#Republic: Divided Democracy in the Age of Social Media*. Princeton University Press.