La stanchezza del cuore attraverso l’esperienza di Papa Francesco e il destino di John Coffey

Oggi voglio parlare di Empatia: è un dono o una condanna?
Di fatto esiste un tipo di stanchezza che non si riposa mai, un dolore che non trova pace. È quella stanchezza che viene dall'essere un parafulmine per il dolore altrui, dal portare sulle proprie spalle il peso delle sofferenze di un mondo che sembra non voler cambiare.
Nell'attuale scenario, mi vengono in mente due personaggi molto diversi tra loro, uno dei quali creato dalla penna di Stephen King, ma tratto da una storia vera: John Coffey protagonista dell'opera "Il Miglio Verde", che viene raccontato nell'omonimo film in modo profondo e reale con la sua enorme dolcezza, una dolcezza derivante dalla conoscenza profonda del bene e del male e che attraversava tutto il suo essere e le sue dinamiche; l'altra persona è Papa Francesco, con la sua instancabile chiamata alla pace, alla fratellanza, all'amore.
Anime empatiche che non si limitano a osservare l'odio, ma lo assorbono come spugne che si saturano fino a non poter più respirare. Coffey, con la sua forza sovrumana, non è solo stanco; è esausto di un mondo ingiusto. La sua richiesta di liberazione, "Sono stanco, capo", è un grido di resa, non perché abbia smesso di amare, ma perché il peso dell'odio lo ha schiacciato e sopraffatto. Lui non cerca di rivendicare la sua innocenza, in quanto gli basta essere riconciliato con la propria anima sensibile, lontano da un mondo odiatore...vuole solo smettere di "sentire" quel dolore su uno spirito che sente tutto.
Allo stesso modo, Papa Francesco, circondato da un mondo che sembra incapace di ascoltare i suoi appelli alla fratellanza, si rifugia nella malattia, non come sconfitta, ma come un modo per ritirarsi dalla battaglia contro un'umanità che spesso lo fraintende e svilisce il suo messaggio; un messaggio semplice, ma di una semplicità che solo chi sente il bene e il male altrui può esprimere. Una semplicità per pochi, data sì dalla competenza e dalla cultura ma anche dalla sintesi del cuore, una semplicità per la quale non è necessaria la fede in Dio per capire, ma della "redenzione" terrena delle anime di ciascuno di noi.
Purtroppo, la società moderna e i fatti più recenti ci hanno aperto gli occhi su un mondo in cui la prevaricazione data dal potere, e dal potere del denaro, piega la volontà e le vite di intere popolazioni inerti davanti ad aggressioni inaudite di potenti personaggi che, pur coprendo ruoli istituzionali, cercano senza neanche nasconderlo solo ed esclusivamente un tornaconto personale.
Questo stile è frutto di un'educazione ossessiva alla performance, al risultato, al dare/avere; tutto deve avere uno scopo, ma uno scopo legato a un obiettivo egoistico e personale e questo seme infetto nasce già nelle famiglie, nelle scuole, nell'idea di essere buoni (declinata in modo diverso in tutte le credenze) per meritare il paradiso, e ancora, nei proclami politici basati sempre e solo su risultati economici e nazionalistici e mai sul benessere della comunità… lo vediamo ogni giorno intorno a noi.
Eppure, in entrambi i personaggi, c'è una sorta di paradosso rispetto a tutto questo: nella loro stanchezza e nella loro sofferenza, si intravede una luce. La loro esistenza è una testimonianza del potere dell'empatia, anche quando sembra un dono crudele.
È proprio questa empatia che apre la strada a un finale che oggi possiamo solo sperare: un mondo in cui il dolore degli empatici non sia più un segno di disadattamento, ma una scintilla per una trasformazione collettiva.
Un mondo in cui chi sente profondamente trovi finalmente pace.